Sul finire degli anni ’90 iniziai a scoprire le tante varietà dei colori. Sempre più attratto dai disegni dei bambini, dai paesi di mare, dalle raffigurazioni del Buongoverno di Lorenzetti o di Giotto ma soprattutto dai tanti colori della natura. In fondo, i colori sono universali, credo che il linguaggio dei colori sia comprensibile ovunque, non vada circoscritto a particolari culture o luoghi geografici. Questi furono i primi “progetti a colori” che segnarono lo spartiacque della mia professione: dal “bicromatismo” (mattone/intonaco chiaro) al “multicolore”. E da allora non ho più abbandonato l’architettura colorata. Sono nuovi “pezzi” di paese. Progettare complessi residenziali per decine di famiglie, vuol dire confrontarsi con molte individualità con ognuna una propria idea di casa, spesso contraddittoria a quella del vicino. Per questo, posi il vincolo che gli acquirenti avrebbero dovuto limitarsi a fornire le loro richieste in termini di superficie e di numero vani, cioè le loro richieste di necessità funzionali, niente più. Non intendevo permettere interferenze e sconfinamenti in materia a loro sconosciuta. Certo, li incontrai più volte nel mio studio, individualmente, per verificare la distribuzione degli spazi interni del loro alloggio “in nuce”, cercando di esaudire le loro richieste funzionali. Credo infatti che l’architettura, a idea mia, debba essere – come sempre stata nella storia – una risposta individuale ad una richiesta collettiva di necessità. E’ un’arte individuale, da prendere o lasciare. La partecipazione può limitarsi alla redazione del programma funzionale, se va oltre è pura demagogia. Anche in questi progetti cercai un filo d’unione tra la Tradizione e l’Innovazione, una sperata armonia tra linguaggio contemporaneo e tradizionale. Forse, chissà, quest’ultimo aspetto, qui, mi prese un po’ la mano.
Mauro Andreini. COMPLESSO RESIDENZIALE “Villaggio Albergheria”, Montalcino
Mauro Andreini. COMPLESSO RESIDENZIALE “Palazzolo”, S.Quirico d’Orcia