Credo che l’aspirazione di ogni architettura sia quella – col passsare del tempo – di diventare paesaggio.
Il paesaggio lo vedo come un insieme di “sottopaesaggi” che si sovrappongono e si stratificano. Non è identificabile nella sola essenza naturalistica o nel panorama, un modo piuttosto pittoresco e limitativo seppur di uso comune. Il paesaggio è percepibile con tutti e cinque i sensi, la vista del naturale e dell’artificiale, l’ascolto dei suoni del vento, dei fiumi e ruscelli, il profumo delle piante e della vegetazione, il tatto delle pietre, il gusto dei sapori del cibo e del vino, la lingua parlata, gli animali, gli umani e poi la sua storia. Tutto il resto lo fa il sesto senso. Il paesaggio lo vedo in continuo movimento, un’entità dinamica impossibile da immobilizzare. La natura e l’architettura sono un processo mai finito e che mai finirà. Anche l’architettura, come la natura, è un organismo vivente disponibile ai cambiamenti e alle trasformazioni, che ha persino la capacità di vivere anche da “morta”, sottoforma di rudere. Le forme e le funzioni sono continuamente sovvertite dal tempo. Credo che l’architettura non debba temere il paesaggio ed il paesaggio non debba temere la buona architettura. La storia ci mostra che tanta buona architettura si è insediata nei luoghi in un rapporto simbiotico e non mimetico, che non si è nascosta per un atto di desistenza dal confronto col paesaggio esistente.
Mauro Andreini. Una nuova borgata rurale in Toscana